Camminare per me è un elogio alla lentezza. Io non corro mai. Ormai anche la lentezza è divenuta per me un modus vivendi. Quindi anche i miei post sono frutto di meditate riflessioni. Mi prendo tutto il tempo che voglio per pensare, e ripensare ad una città, ad un luogo, ad un paesaggio. Non ho l’ansia di condivisione da blogger. Soprattutto quando si cerca di farsi un’idea su posti come Sarajevo e la Bosnia.
Quasi un mese fa, sono stata, infatti, a Sarajevo con il mio compagno. L’ho accompagnato per i motivi lavorativi, e mentre lui lavorava, ne ho approfittato per fare lunghissime camminate in giro sola per il centro storico di questa affascinante città. Forse affascinante non è l’aggettivo adatto per descriverla. In realtà, dopo un mese dal mio rientro, non sono stata ancora capace di trovarne uno. Eppure che strano, quest’estate ho trovato la stessa difficoltà nel parlare di Istanbul. “Ci sarà un motivo” mi son detta. E così era. Studiando un po’ la storia di entrambe le città, scopro che per secoli hanno avuto lo stesso governo e gli stessi imperatori. La Bosnia è stata per secoli un dominio del grande Impero Ottomano. In effetti ho ritrovato a Mostar e Sarajevo le stesse moschee, gli stessi tappeti, gli stessi odori e cibi dell’imponente Istanbul. Addirittura gli stessi gadget per turisti sulle bancarelle.
Non potevo crederci. A meno di mille chilometri da casa mia, di fronte, dall’altra parte dell’Adriatico, ho osservato ragazzi biondi con occhi azzurrissimi, pregare dopo l’appello alla preghiera lanciato dal muezzin (muʾadhdhin) dall’alto dei minareti. L’Islam è in Bosnia, e si avverte dovunque, in ogni angolo delle stradine del centro storico di Sarajevo. Una bellissima Università Islamica, minareti sparsi un po’ ovunque in città, ogni tanto qualche narghilè tra i divanetti dei locali, e qualche velo sul capo delle donne. Pochi, pochissimi veli. Qui le donne sono tutte truccate, truccatissime, molto attente ad essere impeccabili nell’aspetto (a Istanbul, purtroppo, per strada, ho visto più burqa che visi di donne aimè). Chiacchierando con gente del posto, mi è stato detto che quasi il 60% della popolazione bosniaca è musulmana. Insomma, a due passi da casa mia, ho trovato un Islam moderato, che trasmetteva tanta serenità e voglia di entrare nelle moschee.
Camminando sono state tante le riflessioni. La prima, e la più frequente, è stata: ma perché in televisione, sui giornali, e soprattutto su Internet si parla solo e soltanto delle bruttezze e atrocità compiute da fanatici islamici, e mai della bellezza di questa religione e delle cose buone che i suoi seguaci riescono a fare? I Bosniaci per esempio sono riusciti a fare qualcosa di grandioso. Si sono rialzati dopo una guerra durata quasi quattro anni (Guerra di Bosnia Erzegovina 1992 – 1995), e dopo migliaia di morti uccisi dai serbi, hanno trovato il coraggio di non vendicarsi, per far smettere per sempre quell’atroce conflitto. E ora si ritrovano pure come premier un leader serbo (il governo bosniaco è gestito da tre leader, che ogni sei mesi si alternano, uno bosniaco, uno croato e uno serbo). In realtà la stessa Sarajevo è stata la città dove le quattro religioni più importanti hanno convissuto pacificamente per secoli interi. Qui Oriente e Occidente si sono incontrati da sempre. Nel centro storico, camminando, mi sono ritrovata, nel raggio di un paio di chilometri, numerose moschee, una maestosa cattedrale ortodossa, una cattedrale cattolica e una sinagoga molto grande.
Un’altra riflessione importante, è stata: perché nella storia continuano ad esserci morti di serie A e morti di serie B? Perché per i media e per i governi ci sono ancora guerre da serie A e da serie B? Noi europei ancora oggi commemoriamo giustamente il Giorno della Memoria per tutti gli ebrei uccisi più di settanta anni fa, ma ci siamo completamente dimenticati del sacrificio in vite umane, che ha dovuto pagare la popolazione bosniaca poco più di vent’anni fa. E’ atroce tutto questo. Sarajevo porta ancora oggi le ferite profondissime di quel conflitto, ed è un pugno allo stomaco camminare per la città e scorgere numerosi cimiteri con migliaia di lapidi bianche. Se siete dei viaggiatori sensibili, se siete dei pellegrini della Terra, se siete dei consapevoli esploratori, allora dovete per forza camminare in alcuni luoghi simbolo di questa atroce guerra, nel caso doveste visitare Sarajevo. E’ un nostro dovere capire e comprendere quello che ha dovuto sopportare questa popolazione e questa città. Ed è un dovere una volta ritornati a casa raccontare a chi non ricorda più questo atroce conflitto degli anni ’90. In Italia in quegli anni io e le mie amiche guardavamo il programma “Non è la Rai”, mentre dei nostri coetanei europei, dall’altra parte dell’Adriatico, sopravvivevano senza corrente elettrica, acqua, e dovevano evitare bombe e spari di cecchini.
Questi sono per me i luoghi dove bisogna necessariamente camminare per non dimenticare:
- La Biblioteca nazionale ed universitaria della Bosnia ed Erzegovina: si trova nel centro storico della città di Sarajevo. Nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1992 durante l’assedio di Sarajevo l’esercito della Republika Srpska attaccò con bombe incendiarie e cannonate l’edificio della Vijećnica che ospitava la Biblioteca nazionale. L’attacco durò per tre interi giorni, mentre decine di vigili del fuoco, bibliotecari e volontari cercavano di mettere in salvo i libri dalle fiamme, nonostante i cecchini e le antiaeree continuassero a colpire l’edificio. In questa occasione furono distrutti quasi 2 milioni di libri, tra cui manoscritti antichissimi, di inestimabile valore. Dopo il conflitto iniziò lentamente la ricostruzione del monumento, che terminò solo nel 2014. Ora finalmente è tornato al suo antico splendore, e a svolgere il suo ruolo di Biblioteca Nazionale.
- Tunnel dell’Aereoporto di Sarajevo: collocato a circa sette chilometri fuori dalla città, durante l’assedio di Sarajevo, il tunnel fu costruito dagli assediati Bosniaci, con lo scopo di collegare la città, che era stata interamente isolata e circondata dalle forze serbe, con l’aerea neutrale dall’aereoporto istituita dalle Nazioni Unite. A partire dal gennaio 1993, fu scavato il tunnel dai volontari bosniaci che lavoravano a turni di 8 ore. La galleria fu completata a metà del 1993, il che permise alle riserve alimentari e agli aiuti umanitari di raggiungere la città, e alla popolazione di fuggire. In effetti, si è spesso detto che il tunnel abbia salvato Sarajevo. Il tunnel era alto 1,60 mt. con larghezza media di circa 0,80 mt., e si estendeva per circa 800 metri di lunghezza. I venti metri del tunnel che sono stati conservati fino ad oggi sono parte di un museo, aperto ai visitatori. Un consiglio: non comprate materiale informativo (libri, cartine, dvd, brochure) da i gestori del museo, che sono semplici impiegati statali (anche perché contribuirete con un salato biglietto d’entrata al mantenimento del museo). Dirigetevi al negozietto/casa affianco, proprio a due passi dall’entrata del museo. Qui troverete un signore anziano, testimone diretto della costruzione del tunnel, visto che la casa dove ora sorge il museo del tunnel era di sua proprietà e quindi vide per lungo tempo passare la storia di Sarajevo avanti e indietro da casa sua.
- Mercato Cittadino: nei pressi del centro storico, lungo la trafficata via Maresciallo Tito, nel capannone dove ancora oggi si svolge il mercato cittadino ogni giorno, avvenne una delle più grandi stragi durante l’assedio di Sarajevo. Passò alla storia come “il Massacro di Markale”. Il 5 febbraio 1994, un sabato, intorno alle 12.10 un proiettile di mortaio calibro 120 millimetri, sparato dalle colline che circondavano la città e dove operava l’artiglieria serba comandata dal generale Ratko Mladic, colpì in pieno il mercato, e morirono 68 civili e 200 furono feriti. Qui ora troverete una delle tante targhe commemorative che si trovano in città, il cui intento è quello di segnare e commemorare i luoghi in cui sono stati uccisi cittadini innocenti. Lo stesso messaggio hanno le “rose di Sarajevo”, cioè buche lasciate sull’asfalto dalle bombe e colpi di mortaio. I buchi sono stati riempiti di resina rossa per non dimenticare.
Se si visita Sarajevo, per me, camminare in questi posti è un dovere, perché: “La storia umana, con i suoi sviluppi e le sue lotte, appare così al camminatore sotto forma di caduta progressiva vertiginosa. Ed è l’uomo civilizzato, intriso di educazione e di ipocrisia, pieno di cattiveria e di invidia, a diventare il vero bruto. E’ il mondo sociale con le sue ingiustizie e le sue violenze, le sue disuguaglianze e le sue miserie, sono gli stati con le loro forze di polizia e i loro eserciti a costituire le vere giungle.”.